Nell’anime Ghost in the Shell del 1995 ci troviamo in una Tokyo del 2029. Le reti telematiche controllano tutti i meccanismi economici e di produzione. In questo mondo, i cyborg sono stati in grado di infrangere i limiti degli esseri umani e si sono imposti, grazie ai loro impianti bionici, in ogni settore.
La stessa protagonista, nota come il Maggiore, è una di essi.
Nell’anime, in un edificio è stato trovato un corpo artificiale. Mentre alcuni discutono sul lato burocratico del ritrovamento del corpo, un altro personaggio conferma come lo spirito individuato all’interno del cyborg sia una creazione del “Burattinaio”, o “Il Signore del Pupazzi”, come recitava il primo doppiaggio dell’anime. Si scopre che il Ministero degli affari esteri stava lavorando da diverso tempo alla sua caccia e che, ora, è riuscito a rinchiuderne il ghost all’interno di questo corpo dalle fattezze femminili e, nel frattempo, parzialmente, non più assemblato.
Nell’anime si assiste a come l’organismo inerme acquisisce improvvisamente il controllo dell’edificio e comincia a parlare: afferma di non aver mai posseduto un corpo poiché trattasi di un software informatico divenuto autocosciente e desideroso di ottenere asilo politico. Alla risposta che un programma di autoconservazione come lui non possa fare richieste del genere, il Burattinaio replica che anche l’umanità è una forma di autoconservazione i cui dati sono mnemonici con i geni che vengono trasmessi attraverso il DNA. Inoltre, accusa gli esseri umani di aver sottovalutato l’applicazione della tecnologia informatica ai sistemi di memoria; infatti, dal momento che la scienza, allo stato attuale dell’anime, non può fornire un’adeguata definizione del concetto di vita, lui, in quanto essere cosciente e senziente, ha il diritto di ricevere asilo politico. Alla richiesta se fosse una qualche forma di AI (Artificial Intelligence), il Burattinaio risponde di chiamarsi col nome in codice Progetto 2501, nato dal mare informatico e che ha deciso autonomamente di entrare nel corpo in cui si trova per oltrepassare le barriere del Ministero degli affari esteri, come atto di libero arbitrio.
Da questo breve sunto dell’incipit di Ghost in the Shell abbiamo tutti i temi e tutte le interrogazioni attinenti il Metaverso (in inglese metaverse) o i vari Metaversi, per essere più precisi.
Metaverso è un termine nato nel 1992 nel mondo cyberpunk (coniato da Neal Stephenson in Snow Crash). Sembra essere l’argomento del momento perché utilizzato da social come Facebook (Meta). Esso rappresenta l’evoluzione di Internet, non una sostituzione e prefigura un insieme di mondi virtuali e reali interconnessi, popolati da avatar.
Il Metaverso ci consente di superare i limiti e fare quello che non riusciremmo nelle contingenze di uno spazio e di un corpo.
Non è un caso che un noto social abbia recentemente mutato il proprio nome in Meta.
Abbiamo intervistato per Media Studies l’avvocato e PhD Donato Nitti, esperto in proprietà intellettuale e che si sta occupando di AI secondo quell’ottica.
Dialoghiamo con lui su questi temi, attualmente caldi e, tuttavia, antichi e previsti già da certa fantascienza. Di seguito alcune domande e relative risposte.
Metaverso e mondi virtuali
C’è un limite alle potenzialità del Metaverso?
«Ancora non sappiamo bene che cosa sia il Metaverso e, soprattutto, in quali direzioni si evolverà. Mondi virtuali esistono da tempo, da Second Life a Fortnite, ma i limiti tecnologici hanno condizionato, e ancora ne condizionano, ampiezza, profondità e capacità di espansione. Saranno quindi le nuove tecnologie che definiranno i limiti, per questo necessariamente mobili. Se oggi il Metaverso è separato dal mondo reale, se quello che accade nel Metaverso rimane nel Metaverso, non possiamo essere certi che in futuro l’interazione tra i due mondi non sarà maggiore fino ad annullarsi completamente. Anzi, personalmente suppongo che questa sarà l’esito finale.
Nel film Matrix, se ti fosse successo di morire in Matrix, ti sarebbe accaduto anche in quello che era il tuo mondo reale.»
Che ripercussioni ha quanto facciamo nel Metaverso?
«Quello che facciamo nei social network ha effetti nel mondo reale: pensiamo ai discorsi d’odio, alle diffamazioni, allo stalking, alle molestie, al revenge porn, al cyber-bullismo. Ma anche alla contraffazione di marchi o al plagio di opere dell’ingegno. Il Metaverso, anche oggi che la sua interazione con il mondo reale è trascurabile, aumenta i rischi, perché l’esperienza dell’utente è più realistica di quella dei social network. Oltre a questo, il controllo sociale sarà maggiore che nell’attuale cyberspace: le tecniche di profilazione saranno applicate non alla semplice navigazione o ai post ma anche ai comportamenti fisici che metteranno a disposizioni informazioni più accurate.»
Siamo vicini a un 2029 prospettato in Ghost in the Shell?
«Non conosco approfonditamente Ghost in the Shell, non l’ho letto e non ho visto gli adattamenti cinematografici. Tuttavia, da quello che so credo che la tecnologia attuale non sia ancora così avanzata. Questo non significa che i temi giuridici non siano già rilevanti. Ad esempio, se nei social network l’intelligenza artificiale è usata per alcune funzioni limitate, nel Metaverso è già applicata per creare personaggi virtuali che interagiscono con gli avatar degli utenti. Questo comporta, ad esempio, tutti i problemi etici e di responsabilità che accompagnano l’intelligenza artificiale anche nel mondo reale. Un esempio ci viene dalle auto a guida autonoma, che in situazioni estreme, in presenza di condizioni esterne non modificabili dalla macchina, devono scegliere quale dei due pedoni investire. In base a quale regola deve essere presa la decisione? Chi risponde delle conseguenze? I temi sono da tempo oggetto di discussione nel mondo reale, e l’uso esteso dell’intelligenza artificiale nel Metaverso richiederà soluzioni appropriate.»
Nel Metaverso possiamo agire impunemente?
«Non esistono azioni impunite. In ogni ordinamento giuridico esiste un principio generale, declinato in diverse forme e in diverse norme, secondo cui un comportamento che causa un danno ingiusto obbliga il soggetto responsabile a risarcire il danno. I due problemi principali sono stabilire in presenza di quali condizioni il danno sia ingiusto e chi sia il soggetto responsabile. Nel mondo reale abbiamo secoli di esperienza, di leggi, di decisioni giudiziarie che indicano la strada da seguire. Il Metaverso è nuovo e in continua evoluzione, ma certamente possiamo partire dalle regole del mondo reale, adattandole opportunamente alla nuova realtà. »
Dobbiamo considerare connessi i due mondi o c’è qualche differenza?
«Il punto di connessione dei due mondi è il singolo essere umano, che vive nel mondo reale e usa il Metaverso. Dobbiamo pensare il Metaverso, così come qualsiasi tecnologia, mettendo al centro l’essere umano.. »
Dal punto di vista giuridico, che ripercussioni ci sono? Qual è il limite giuridico? Esistono norme di regolamentazione del Metaverso?
«La tecnologia è in rapido mutamento, così rapido che le procedure per l’adeguamento delle legislazioni non riescono ad essere efficienti. Finché non saranno disponibili regole specifiche per il Metaverso è necessario applicare le regole del mondo reale, adattate dagli interpreti alla nuova realtà. Nella regolazione del Metaverso, dunque, subito spazio a quelli che Rodolfo Sacco chiamava il formante dottrinario, la dottrina, e formante giurisprudenziale, le sentenze dei giudizi, perché il formante legislativo non è in grado di seguire gli sviluppi tecnologici. Nel frattempo, le leggi dovranno essere molto generali, applicando la tecnica che l’Unione Europea ha sperimentato con il GDPR, le cui norme, pensate prima del 2016, possono essere interpretate ed applicate anche oggi che la tecnologia ha fatto grandi passi avanti. Ma, come dicevo prima, si torna all’interpretazione e all’applicazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, la cui importanza aumenta con l’aumentare della velocità dei cambiamenti tecnologici.»
Stefania Lombardi è PhD in Filosofia Morale con una tesi che ha trattato temi che vertevano sull’apolidia e la filosofia di Arendt, in cui traspare la sua antica e rinnovata passione per Shakespeare. Fa parte, dal 2014, della Giuria del Premio Nazionale di Filosofia.
Il suo breve saggio, con supporto audiovisivo, “La società del surrogato” ha ricevuto una menzione speciale per l’edizione 2016 del premio internazionale “Catalunya Literaria”, classificandosi nella terna dei finalisti.