Mi sono sempre interessata alla questione dell’esclusione e degli esclusi e, tra questi, degli esclusi dai diritti. Lavorando in un contesto di ricerca, mi è capitato di assistere a vari eventi che vertevano sull’accesso alle informazioni e su Internet come diritto; fu folgorante alcuni anni or sono, a tal riguardo, l’incontro con Stefano Rodotà.
La riflessione sui media, sull’accesso e su Internet è, a ben vedere, una riflessione sui diritti.
L’accesso
“Nessuno deve essere lasciato indietro” (“no one will be left behind”) è il motto dell’Agenda ONU[1] 2030 (siglata nel 2015) per lo sviluppo sostenibile volto a garantire l’accesso in senso lato; garantire l’accesso all’informazione è esplicitato all’interno di uno dei 17 obiettivi dell’Agenda. Garantire l’accesso all’informazione è, inoltre, la missione principale delle biblioteche[2] e della stampa, come affermato da Glória Pérez-Salmerón, Presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni ed istituzioni Bibliotecarie:“Il ruolo dell’informazione nelle nostre società non è mai stato così imponente. È un facilitatore, una materia prima, una fonte di innovazione e creatività. Dare a tutti l’accesso all’informazione significa assicurare che tutti abbiano l’opportunità di imparare, crescere e prendere decisioni migliori per se stessi e per chi li circonda”.
Infatti, nel riferirsi all’accesso alle informazioni, si adotta un approccio deliberatamente ampio, sottolineando l’importanza dell’accesso “significativo”. Questo accesso riflette la comprensione che la disponibilità fisica e legale delle informazioni non può fare la differenza se le persone non hanno le competenze, la fiducia e le condizioni sociali e culturali per applicarle, unendo, quindi, il lato dell’offerta a quello della domanda.
In altre parole, una connessione fisica a internet e le leggi che assicurano la trasparenza dei dati pubblici o l’accesso aperto alla ricerca finanziata pubblicamente, possono avere il loro pieno effetto solo se tutti sono in grado di usare pienamente queste informazioni.
Questo è un approccio che trova le sue radici nell’Agenda 2030. Essa fa riferimento all’accesso alle informazioni, più o meno esplicitamente, in 17 obiettivi, tra cui gli impegni per sviluppare le infrastrutture, promuovere le competenze, affrontare le disuguaglianze e promuovere le libertà.
Una parte fondamentale di questo rapporto si basa quindi su una rosa di indicatori che esplorano questi quattro aspetti, o “pilastri”, dell’accesso all’informazione: connettività fisica a internet, competenze, contesto sociale e culturale, e leggi.
Le Biblioteche
Acquisendo, conservando e organizzando le informazioni e permettendo alle persone di leggerle e applicarle, le biblioteche sono state per molto tempo il cuore, il fulcro della nostra infrastruttura culturale e di ricerca. Sono custodi di gran parte del patrimonio documentario del mondo, così come la fonte delle materie prime per l’innovazione.
Hanno anche un’importante missione sociale. Nel XIX secolo, la costruzione di biblioteche faceva parte dello sforzo per educare e rendere capaci coloro che non facevano parte dell’élite garantendo una nuova offerta di servizi e di opportunità per tutti[4].
Non avere la capacità di trovare, accedere, applicare e creare informazioni può troppo spesso rafforzare lo svantaggio sociale ed economico, che a sua volta può aumentare ulteriori barriere all’accesso alle informazioni.
Come mostra la Library Map of the World dell’IFLA[5], ci sono almeno 2,3 milioni di biblioteche nel mondo che rappresentano un’enorme risorsa potenziale.
Accesso a Internet
In Italia, il riconoscimento del diritto di accesso a Internet fu proposto per la prima volta dal giurista Stefano Rodotà nell’ambito dell’Internet Governance Forum Italia (IGF) del 2010.
Qui la tesi esposta:
«Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale».
Dal suo saggio “Il diritto ad avere diritti”[6] al saggio, più specifico, “Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli”[7] si apprende quanto il diritto di accesso a Internet fosse divenuto sempre più centrale nel pensiero di Rodotà sino a chiederne l’inserimento nella nostra Costituzione, possibilità su cui il noto giurista si interrogava sin dalla metà degli anni ’90.
Con la recente pandemia, si è palesato l’accesso a Internet in tutta la sua importanza, al punto da diventare lo strumento più concreto e idoneo per fruire degli altri diritti presenti in Costituzione: il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro, fino ai più elementari diritti di cittadinanza; inoltre, è stato considerato dal diritto internazionale come “patrimonio dell’umanità”[8] da tutelare contro i suoi nemici[9].
Sempre in Italia, infatti, nel 2015, stesso anno dell’entrata in vigore dell’Agenda 2030, è stata approvata alla Camera la “Dichiarazione dei diritti in Internet” elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet a seguito di una consultazione pubblica, delle audizioni svolte e della riunione della stessa Commissione del 14 luglio 2015. La Dichiarazione, all’Art.2, recita:
“L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.”
Internet, scuole, pandemia
Considerato questo, dal rapporto BES 2020 dell’Istat relativo allo sviluppo equo e sostenibile in Italia, risulta che, sebbene gli istituti scolastici si siano attrezzati in varie forme di didattica a distanza e, nonostante gli sforzi di docenti e famiglie, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza senza prendere parte alle video lezioni con la classe; in caso di alunni con disabilità tale percentuale si alza al 23%.
Avere nella propria abitazione una connessione e un PC diventa, pertanto, un requisito fondamentale per l’accesso all’istruzione.
L’impatto della didattica a distanza ha, quindi, inciso sulla popolazione studentesca già soggetta a profonde disuguaglianze sociali con conseguente aumento di abbandono scolastico nelle fasce più vulnerabili.
Accesso e migliori condizioni
Come già evidenziato dalla Dichiarazione di Lione del 2014 relativa all’accesso all’informazione e lo sviluppo che precede l’Agenda ONU 2030 del 2015, l’accesso all’informazione supporta lo sviluppo perché dà il potere alle persone, soprattutto a quelle ai margini della società.
Con questo potere esse possono:
- Esercitare i loro diritti civili, politici, economici sociali e culturali.
- Essere attive, produttive e innovative dal punto di vista economico.
- Imparare e applicare nuove abilità.
- Arricchire la loro identità ed espressione culturale.
- Prendere parte ai processi decisionali e partecipare ad una società civile attiva ed impegnata.
- Creare soluzioni basate sulla comunità per rispondere alle sfide dello sviluppo
- Assicurare affidabilità, trasparenza, buon governo, partecipazione e legittimazione.
- Misurare il progresso dello sviluppo sostenibile negli impegni presi dal settore pubblico e privato.
I costi del non accesso sono chiari: coloro che non hanno un accesso significativo all’informazione perdono opportunità di lavoro o imprenditoriali, non possono impegnarsi nella ricerca e nell’innovazione o nella vita civile, e sono impossibilitati a comunicare con amici, familiari e coloro che condividono i loro interessi.
Inoltre, la mancanza di accesso può tagliare le persone fuori dalla loro cultura e, al livello più elementare, dalle informazioni di cui hanno bisogno per prendere le decisioni più pertinenti per se stesse e le loro comunità.
Accesso alla scienza
La possibilità di accesso in generale è inclusione e in questo senso si inserisce il dibattito sull’accesso ai vaccini durante la pandemia e la relativa possibilità di abolizione dei brevetti.
Ad esempio, nei brevetti delle università e degli istituti di ricerca pubblici sui vaccini, l’università, che è finanziata con fondi pubblici, brevetta e cede il brevetto all’impresa; ed è poi quest’ultima che lo immette sul mercato[10].
Nella storia dei vaccini anti-covid-19, come nella storia di altri farmaci, l’innovazione non sembra provenire dalle grandi imprese ma dalle università o dalle piccole imprese.
Considerazioni queste ispirate a vari articoli del prof. Roberto Caso; seguendo questi ragionamenti, si può arguire che se i vaccini fossero, invece, basati sulla scienza pubblica e aperta, sarebbero le università e gli istituti di ricerca pubblici che, pubblicando le loro invenzioni, ne distruggono la novità e la possibilità di brevettare. In questo contesto sarebbe poi lo Stato a farsi carico dei test di sicurezza lasciando alle imprese la possibilità di produrre e di praticare prezzi concorrenziali.
Il brevetto, infatti, sposta l’asse decisionale dal potere pubblico al potere privato le cui decisioni sono orientate al al profitto[11].
Infatti, con la campagna vaccinale mondiale si è assistito a:
• meno dosi distribuite del previsto a livello di contratto;
• una ineguale distribuzione;
• paesi poveri in difficoltà.
Non diversamente accade per le pubblicazioni scientifiche. La possibilità di accesso e di fruibilità alle pubblicazioni scientifiche, ad esempio, velocizza le scoperte scientifiche stesse e l’innovazione, favorendo cura, salute e cultura delle società nel loro insieme.
La scienza aperta conosce queste dinamiche, le fa proprie, esattamente come fa proprio il motto “Nessuno deve essere lasciato indietro” dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Alcuni ricercatori confondono, ad esempio, la possibilità di accesso alle pubblicazioni scientifiche con la fruibilità delle stesse e la conseguente possibilità di un “fraintendimento” dei non “addetti ai lavori”.
I piani sono, tuttavia, diversi, perché un conto è la possibilità di accesso, un altro la fruibilità e un altro ancora l’interpretazione.
La recente pandemia ha dimostrato, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto sia importante la possibilità d’accesso, esattamente come lo è la sua fruibilità che si comporta da acceleratore di ricerche e innovazione per un benessere comune sempre maggiore e capillarmente diffuso.
Compresi e separati i piani, l’accesso inclusivo è e deve essere la nuova normalità perché, appunto, “nessuno deve essere lasciato indietro”.
Note
[1] https://unric.org/it/wp-content/uploads/sites/3/2019/11/Agenda-2030-Onu-italia.pdf
[2]https://da2i.ifla.org/wp-content/uploads/da2i-2019-full-report.pdf
[3] Eliminata
[4]Info reperibili qui: https://da2i.ifla.org/wp-content/uploads/da2i-2019-chapter2.pdf
[5] https://librarymap.ifla.org
[6] S. Rodotà, Il diritto ad avere diritti, Laterza, Roma, 2015
[7] S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Laterza, Roma, 2014
[8] V. Kiss, La notion de patrimoine commun de l’humanité, in Recueil des Cours de l’Académie dedroit international de la Haye, CLXXV, Giuffrè, 1982, 99 ss.
[9] Per un più ampio quadro, e anche per la prefazione scritta da S. Rodotà, si veda: A. Di Corinto, A. Gilioli, I nemici della rete, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2010
[10] Si veda, per ampliare il proprio orizzonte sul tema: M. C. Pievatolo, Il mercante e il califfo: politiche della proprietà intellettuale. Società italiana di filosofia politica, 2006, http://eprints.rclis.org/9861/
[11] S.Blume, M.Mezza, Vaccini in balia delle logiche di mercato. Come il sole è stato privatizzato, Rivista Il Mulino, 17 febbraio 2021
Stefania Lombardi è PhD in Filosofia Morale con una tesi che ha trattato temi che vertevano sull’apolidia e la filosofia di Arendt, in cui traspare la sua antica e rinnovata passione per Shakespeare. Fa parte, dal 2014, della Giuria del Premio Nazionale di Filosofia.
Il suo breve saggio, con supporto audiovisivo, “La società del surrogato” ha ricevuto una menzione speciale per l’edizione 2016 del premio internazionale “Catalunya Literaria”, classificandosi nella terna dei finalisti.
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