Stanotte, durante la cerimonia di premiazione della novantaduesima edizione degli Academy Awards, da noi meglio conosciuti come “Oscar”, tra un grande regista, una diva sul red carpet e la consegna delle statuette, per 30 secondi gli spettatori hanno potuto vedere l’ultimo spot del The New York Times, su uno dei progetti editoriali di maggior successo della testata statunitense, il ”The 1619 Project”.
Il progetto, lanciato nel settembre del 2019, ha l’obiettivo di raccontare la nascita degli attuali Stati Uniti a partire dalle sue più remote origini quando, nell’Agosto del 1619, un’ imbarcazione con 20 schiavi africani a bordo approdò sulle coste della Virginia. Non è solo “una storia”, bensì il tentativo di riscrivere “la storia” di un paese in cui, secoli dopo la sua nascita, le divisioni tra le varie etnie che ne compongono la popolazione costituiscono ancora un importante fondamento di diseguaglianza ed uno dei maggiori problemi di quella democrazia.
Il messaggio pubblicitario costerà al NYT 2,6 milioni di dollari ed è parte di una “brand campaign” avviata nel 2017 dal titolo “The Trust is worth it” (La verità ne vale la pena – ndr) che ha preso in esame molteplici aspetti della vita politica, sociale ed economica degli Stati Uniti. Per poter capire il senso di quest’azione di marketing della prestigiosa testata americana, dobbiamo considerare il contesto in cui si insersce, caratterizzato da quasi dieci anni di continui e progressivi successi, premi e riconoscimenti, trainati da quello che orgogliosamente giornalisti ed editori della testata amano chiamare “Il giornalismo di qualità del Times”.
Lo spot del New York Times
I risultati del quarto trimestre 2019
Lo scorso 6 febbraio, Mark Thompson, presidente ed amministratore delegato della The New York Times Company, nel commentare i risultati dell’ultimo trimestre 2019, ha dichiarato: “Il 2019 è stato un anno da record per il business delle sottoscrizioni digitali del New York Times, il migliore da quando la società le ha lanciate quasi nove anni fa. Questo successo è una testimonianza dello straordinario lavoro dei giornalisti del Times in tutto il mondo e anche del modo radicalmente diverso di condurre operazioni digitali presso l’azienda, con team interdisciplinari che godono di una notevole autonomia e accesso all’apprendimento automatico, ingegneria e capacità di verifica necessarie per far progredire la nostra attività.”
“Di conseguenza,” – ha proseguito Thompson – “stiamo assistendo ad un’accelerazione della nostra crescita digitale. Come abbiamo detto poche settimane fa, nel 2019, abbiamo aggiunto oltre un milione di nuovi abbonamenti netti solo digitali totali e alla fine dell’anno abbiamo 5.251.000 abbonamenti totali tra i nostri prodotti di stampa e digitali. Nel quarto trimestre, abbiamo aggiunto un totale di 342.000 nuovi abbonamenti netti solo digitali, di cui 232.000 al nostro prodotto principale di notizie (la testata “The New York Times” ndr) e l’equilibrio tra Cooking e Cruciverba (altri prodotti editoriali di successo del gruppo -ndr), con Cooking in particolare che sta concludendo in modo spettacolare un anno forte con 68.000 nuovi abbonamenti. I 232.000 nuovi abbonamenti solo digitali alla testata rappresentano il 35 percento in più rispetto al quarto trimestre 2018 e il 134 percento in più rispetto al quarto trimestre 2017.”
Ma questi risultati che Media Studies aveva già preannunciato, commentando quelli del trimestre precedente, sono solo il prodotto di una efficenza economica o di management che ha saputo ben sfruttare una particolare congiuntura del momento, un mercato lasciato libero da molti competitors falliti o incapaci? Qual è il motore di questo successo?
Il giornalismo di qualità del "Times"
Sono ormai molti anni che le analisi di commentatori ed esperti di giornalismo e comunicazione puntano il dito alla prestigosa testata americana, indicandola come un modello da perseguire, cercando di comprendere i suoi più reconditi aspetti organizzativi, le tecnologie utilizzate, i meccanismi di interazione fra i vari team che letteralmente “costruiscono ” il giornale ogni giorno, dalla redazione, ai social media team, agli esperti di User Experience, ai data scientist, ai fotografi, agli inviati.
Come si è avuto più volte modo di analizzare e rappresentare, in vari luoghi dell’informazione, è innegabile l’impegno organizzativo e di continuo aggiornamento metodologico e tecnologico profuso dall’azienda ma, la locomotrice di questo treno che corre ormai irrefrenabile e veloce nel mondo dell’informazione, non sembra essere un fattore riconducibile ad una qualche forma di determinismo tecnologico o di marketing o gestionale o, almeno non soltanto a ciascuno di questi fattori anche se considerati ne loro insieme.
La certezza da porre alla base di un’analisi anche economica del funzionamento di questo successo, deve partire dal prodotto che tale successo testimonia, quello che è universalmente riconosciuto come un giornalismo basato sulla “qualità”, su una insistente e costante ricerca della “verità” ( o di qualcosa che non sia banalmente falso), sulla trasparenza dei processi redazionali, della composizione dell’assett proprietario, dei finanziatori e sostenitori della testata.
The Truth Can Change How We See the World
“The Truth Can Change How We See the World” è quindi il titolo di questo spot che annuncia al mondo come la realtà, la verità, “the truth” possa essere raccontata finalmente da una nuova angolazione, storica e realistica, prendendo spunto dai fatti pittosto che dalla necessità di conciliare una narrazione con una visione polarizzata della società: “Cosa c’entra un ingorgo con la segregazione razziale? Perché gli Stati Uniti non hanno l’assistenza sanitaria universale? Cos’è la musica americana? Il giornalismo indipendente pone domande, scava più a fondo e ci aiuta a ripensare gli aspetti della vita che pensavamo di aver capito. E così facendo, coinvolge i lettori in conversazioni significative che ci avvicinano alla verità.”
Questi, come spiega lo stesso New York Times, sono il fulcro e gli obiettivi della prossima ondata di annunci pubblicitari della campagna “The Truth Is Worth It” e del “The 1619 Project”.
L’azione di marketing del New York Times non è solo il lancio di una storia, ma il consolidamento di una esperienza di narrazione nuova , moderna e tecnologicamente adeguata ai tempi, che si esprime in forme narrative come il Long Form Journalism, non nuovo in assoluto, ma che il NYT ha il merito di rilanciare, a partire dal 2012, con l’incredibile racconto di una valanga, Snow Fall, che mostra al mondo il potenziale di coinvolgimento e di approfondimento dei media digitali, irraggiungibile sui tradizionali media cartacei.
Sembra che i risultati del Times, ci costringano, finalmente, a prendere atto del fatto che il giornalismo ha dinanzi a sè grandi prospettive, laddove non si tema la tecnologia, anche quella più spinta come l’Intelligenza Artificiale, peraltro già in uso con diversi tools e software all’interno di molte redazioni e laddove si intenda fare del giornalismo un servizio per la società, più che un prodotto da (s)vendere in un mercato dei click o della pubblicità. Al giornalismo, per il Times, bisogna riconoscere la sua funzione sociale, riprendere il suo ruolo di cane da guardia della democrazia, in un percorso difficile ed avventuroso di ricerca della verità.
Giornalista e imprenditore da oltre 30 anni nel settore della comunicazione e dell’ICT, sono manager dell’agenzia di comunicazione Interskills srl.
Da sempre interessato alle tematiche del giornalismo e della sua transizione al digitale, scrivo ed ho scritto su diverse testate, tra cui Wired, LaRegioneTicino, Repubblica e L’Espresso, su cui ho un blog dal titolo “Culture Digitali”.
Membro del Comitato scientifico della Fondazione Murialdi per il giornalismo, coordinatore del progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale” dell’Ordine dei giornalisti e docente per la formazione dello stesso Ordine .
Presidente Consiglio Direttivo “Media Studies”