Il giornalismo come baluardo della democrazia e la politica (europea) in difesa del giornalismo: a suggerirlo è l’ultimo rapporto pubblicato dal Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford, lo scorso 25 novembre, dal titolo “What Can Be Done? Digital Media Policy Options for Strengthening European Democracy”.
D’altra parte, della necessaria correlazione tra le due tematiche ne avevamo già parlato, in relazione agli USA, nel precedente articolo sulle problematiche relative all’informazione , evidenziando come in quel paese la chiusura di quasi 1.800 giornali locali, dal 2004 ad oggi, abbia lasciato le città americane – a volte intere contee – senza una significativa fonte di notizie locali, rappresentando, questo fenomeno, un serio pericolo per la democrazia.
Lo studio del Reuters è curato da Rasmus Kleis Nielsen, direttore dell’Istituto, in collaborazione con Robert Gorwa, ricercatore della stessa università e Madelaine de Cock Buning, docente di Politiche Digitali all’European University Institute’s School of Transnational Governance.
Il rapporto, indirizzato alla nuova Commissione Europea di Ursula Von der Leyen, analizza ed individua una serie di punti chiave e di policy per lo sviluppo del giornalismo professionale indipendente in Europa, elaborando anche alcune concrete proposte volte ad indirizzare una politica dei media europea in quello che viene definito “un momento critico”:
“Il giornalismo professionale indipendente svolge un ruolo importante nella democrazia, ma deve affrontare una serie di importanti sfide che minacciano quel ruolo e, per estensione, minacciano la democrazia europea. Se il giornalismo viene indebolito, i cittadini europei saranno meno in grado di svolgere un ruolo attivo e informato nel processo politico e le democrazie europee meno resistenti alle minacce interne ed esterne” scrivono gli autori nell’introduzione al rapporto e, continuando: “Per fare davvero la differenza, i responsabili politici devono andare oltre la tendenza ad affrontare indirettamente le questioni che riguardano il giornalismo professionale indipendente o attraverso passaggi frammentati e frammentari e prendere in considerazione l’adozione di un approccio più olistico focalizzato sulla creazione di un ambiente in cui il giornalismo professionale indipendente possa avere successo.”
Secondo il rapporto del Reuters, tre (tre “F” ndr) sono le condizioni preliminari affinché si possa giungere a creare un ambiente più favorevole per il giornalismo:
Freedom (libertà): Date le minacce accertate alla libera espressione e alla libertà dei media in alcuni Stati membri dell’Unione europea, è chiaro che questi problemi devono essere affrontati prima in questi paesi prima che qualsiasi altra misura possa trovare un successo a lungo termine. In particolare i primi passi dovranno essere mossi riguardo alla protezione della libera espressione, della libertà dei media, della protezione dei giornalisti e della reale indipendenza per i media di servizio pubblico.
Funding (finanziamenti): senza fondi il giornalismo professionale indipendente scomparirà. I ricavi, anche nel settore pubblicitario, si stanno spostando da offline ad online con grande beneficio però di aziende statunitensi come Google e Facebook: in media, le entrate dell’industria europea dei quotidiani sono diminuite di circa 2,5 milioni di euro ogni giorno del mandato della Commissione Juncker, da 39 miliardi di euro nel 2015 a circa 33 miliardi di euro per il 2019. Dato il rapido declino dei media tradizionali, i capitali per salvare il giornalismo dovranno provenire da una combinazione di un nuovo mercato digitale dei media e da varie forme di supporto pubblico che possa riguardare sia le aziende di informazione non-profit che il servizio pubblico. Questo perché, se in passato gli investimenti nel settore dei media sono stati per gran parte di carattere privato, vi è un significativo rischio di un crollo di queste attività di informazione, in special modo per quelle locali e di nicchia.
Future (futuro): senza futuro per il giornalismo professionale indipendente, è a rischio la democrazia europea. Forgiare quel futuro è principalmente un compito per la professione e l’industria stessa ma anche i responsabili politici possono svolgere un ruolo. Tra le opzioni che sono state esaminate, tre spiccano: (a) assicurarsi che tutti gli attori attivi nel mercato digitale competano su un piano di parità; (b) fornire finanziamenti pubblici per l’innovazione nel giornalismo e nei mezzi di informazione per favorire la transizione e (c) assicurare un più responsabile, comprensibile, e trasparente ambiente delle piattaforme attraverso la promozione di meccanismi di supervisione da parte dei vari stakeholder, progetti di alfabetizzazione mediatica e accesso ai dati per la ricerca indipendente.
Il rapporto prende in esame l’attuale ecosistema mediatico, caratterizzato da una fruizione delle informazioni sempre più veloce, grazia alla banda larga, e diffusa a causa della pervasività e quantità di mezzi disponibili, dallo smartphone agli altoparlanti intelligenti ed alle piattaforme come motori di ricerca, social media ed applicazioni di messaggistica.
Si afferma chiaramente che è necessario un cambio di paradigma alla base di ogni presente e futura “visione” del giornalismo: “essere orientati al digitale, al mobile ed a quel futuro dominato dalle piattaforme che le persone stanno evidentmente scegliendo, non verso la difesa di un passato dominato dalla televisione e dalla carta stampata“.
D’altra parte, a questo proposito, occorre riportare quanto suggerisce Mario Tedeschini Lalli, nella sua recente analisi su Medium, in relazione ad una certa ostinazione degli editori italiani ad arroccarsi nella difesa di vecchi schemi e modelli di business:
“La nostalgia può fare brutti scherzi, specie se si applica a inesistenti età dell’oro. Può creare la convinzione che il prodotto stampato (“Andate in edicola!”) sia quello sul quale occorra concentrarsi, nonostante che ogni possibile statistica storica e attuale dimostri che esso è destinato ad esaurirsi, con maggiore o minore velocità.
«E allora, che facciamo?». Non c’è una risposta sola, non esiste e non esisterà un modello di affari che semplicemente si sostituisca a quello che conoscevamo per il giornali. Da tempo si discutono e si sperimentano diversi modelli e, specialmente, diverse logiche per far sopravvivere il giornalismo professionale nell’era dell’abbondanza informativa. Per la maggior parte implicano un differente rapporto tra il giornalista, la redazione e i cittadini, tale che i cittadini riconoscano nel loro interesse sostenere il prodotto di una certa redazione. Non solo acquistarne i “contenuti” in esclusiva.”
In questo ecosistema così complesso e veloce uno dei problemi più significativi, evidenziati nel documento del Reuters, è la disinformazione, da intendersi come un complesso miscuglio di manipolazione, cattiva informazione, scarsa trasparenza degli algoritmi. Per questo sono necessari strumenti di controllo e di verifica indipendenti dalle influenze della politica e delle aziende.
Ed è anche su questo aspetto che si giocherà in futuro l’autonomia e l’indipendenza del giornalismo e, quindi, della democrazia europea.
Giornalista e imprenditore da oltre 30 anni nel settore della comunicazione e dell’ICT, sono manager dell’agenzia di comunicazione Interskills srl.
Da sempre interessato alle tematiche del giornalismo e della sua transizione al digitale, scrivo ed ho scritto su diverse testate, tra cui Wired, LaRegioneTicino, Repubblica e L’Espresso, su cui ho un blog dal titolo “Culture Digitali”.
Membro del Comitato scientifico della Fondazione Murialdi per il giornalismo, coordinatore del progetto “Osservatorio sul giornalismo digitale” dell’Ordine dei giornalisti e docente per la formazione dello stesso Ordine .
Presidente Consiglio Direttivo “Media Studies”